Tracce dell’Antica Dea Mediterranea

Tracce dell’Antica Dea Mediterranea
nelle manifestazioni religiose protoitaliche
dalle ricerche di Momolina Marconi, articolo di Sarah Perini.

In questo intervento analizzerò il contributo di una ricercatrice italiana del secolo scorso, sconosciuta ai più, ma all’avanguardia negli studi matrifocali e delle antiche religioni mediterranee. Per la brevità richiesta da questo intervento mi limiterò ad un intervento didattico e descrittivo tratto dai due testi attualmente disponibili che raccolgono il lavoro di Momolina Marconi.
La sua prima pubblicazione del 1939, Riflessi Mediterranei della più antica religione laziale, è attualmente disponibile on line su Filarete, sito internet dell’Università di Milano Facoltà di Lettere e Filosofia.
La riedizione critica dei saggi della ricercatrice è stata edita nel 2009 dalle Edizioni Venexia, a cura di Anna de Nardis: Da Circe a Morgana, scritti di Momolina Marconi.

Momolina Marconi (1912-2006) fu insegnante, dal 1948 al 1982, all’Università Statale di Milano insieme al proprio mentore e compagno di ricerca Umberto Pestalozza, da cui ereditò la cattedra di Storia delle Religioni. La sua opera è connessa a quella di grandi ricercatori e ricercatrici internazionali come Jane Harrison, Mircea Eliade, Karl Kerenyi; e pur non incontrando Marija Gimbutas ne conferma ampiamente le linee di ricerca ed i risultati.

La Marconi e Pestalozza scrivono infatti nel periodo fra le due guerre mondiali, diversamente da Gimbutas che lavora nel dopoguerra; i due venivano definiti dai contemporanei come “convinti mediterranei”, perchè descrivevano un’Antica Europa pacifica e rigogliosa dal punto di vista sociale, culturale e religioso.

Marconi è l’unica voce femminile italiana che dona un contributo considerato ancora oggi attuale sul sacro femminile, riscoprendo le radici italiche e mediterranee della sfaccettata Signora Mediterranea: Dea Una e Multiforme, Vergine Sacra, Signora della vegetazione e degli animali, Madre della Vita e della Morte.

Differentemente da M. Gimbutas, che è un’archeologa, la Marconi è una letterata, parte per la sua ricerca dalla raccolta e dall’analisi delle fonti letterarie e religiose dei popoli mediterranei, relative alle forme e culti della Grande Dea.

L’arco temporale preso in considerazione parte dal 3000 P.E.C. e giunge fino al Medioevo. L’area geografica analizzata, definita “mediterranea”, copre un territorio molto vasto che si estende dai limiti ovest dell’Europa sino all’India.

La Marconi sottolinea l’esistenza di una divinità femminile unitaria in tutta questa vasta area, con nomi diversi ma con caratteristiche comuni. Nello specifico ne identifica alcune forme: la dea nuda; la dea che mostra i seni; la dea che regge o allatta; la dea uccello; la dea serpente; la dea colomba; la dea potnia delle piante e degli animali; la dea lucifera.

Nella religione italica e latina pre-romana riscontra le seguenti divinità femminili: Fortuna; Bona Dea; Mater Matuta; Feronia e Diana. Fra le divinità mediterranee più diffuse indica: Isthar, Astarte, Inanna, Hathor, Artemide e Atena.

Paragona infine le più famose sacerdotesse e maghe dall’antichità e del medioevo: Circe e Medea, Morgana e la Dama del Lago, in stretta connessione con la Grande Dea mediterranea della quale sostiene esse siano diretta manifestazione. Passiamo ora ad analizzare queste figure di dee.

 

La Dea che mostra i seni.

La rappresentazione più antica della Dea mediterranea è una donna formosa, nuda, in atto di sottolineare la forma dei seni o del pube, con fianchi, gambe e glutei molto pronunciati, simboli di fecondità e del potere di dare la vita.

La troviamo anche in forme cilindriche e campaniformi o vasi antropomorfi; in forme tondeggianti o appiattite (queste ultime connesse ai culti funerari). Spesso compaiono segni geometrici intorno alle zone energeticamente potenti del suo corpo (seni, pube, ventre, ombelico, testa, occhi, collo, braccia, gambe).

La Dea viene anche raffigurata con testa di uccello o di serpente; mentre stringe serpenti tra le mani; in posizione eretta su una leonessa, leone o fiera; in posizione seduta o accovacciata. Regge o si stringe i seni con le mani; oppure con una mano stringe un seno e con l’altra un vaso rituale nel quale raccoglie il suo latte che zampilla, o ancora nutre un animale; è vestita con abito lungo trasparente o puntinato, a volte velata o ingioiellata con braccialetti, diademi, torquis, cinture, acconciata con pettinature intrecciate o lunghe trecce.

In alcune forme più tarde troviamo la Dea rappresentata con accanto il suo compagno, paredro, amante, figlio a lei subordinato che la riverisce o la accompagna durante la ritualità.

La Dea che regge o allatta.

Dea che regge il fanciullo, dalla grotta di Sa Dom’e s’Orku, Urzulei.

La Dea Madre più propriamente detta è rappresentata per onorare la maternità divina e umana, il potere di dare la vita, il nutrimento e la cura. Universalmente presente a partire dal Neolitico e in tutte le epoche successive, passando da Hathor a Iside a Efesia fino a Maria.

Le Dea è rappresentata in posizione eretta o seduta reggente da uno a più bambini/e; allatta le sue creature oppure le tiene vicino; bambini piccoli o grandi si avvicinano a lei o li tiene sulle spalle o sulla testa; è seduta su semplici sedie oppure su troni retti da fiere. Anche questa Dea può avere testa di serpente, di uccello o di vacca.

In natura è circondata da animali quali: serpenti, colombe, uccelli, vacche, maiali, pecore, capre, fiere. Tiene nella mano frutti quali mela e melagrana oppure uova o scettri sormontati da uova o colombe.

La Dea non è soggetta a vincolo matrimoniale seppure a volte accompagnata da un giovane dio, figlio, fratello o amante a lei subordinato che la assiste nelle funzioni sacre.

 

La Dea Potnia.

È la figura più significativa e centrale nel culto della divinità femminile mediterranea poiché ne rappresenta tutti gli aspetti.

Dea del mondo vegetale e animale, conoscitrice delle erbe curative, protettrice delle fiere e degli animali selvatici di quelli acquatici e dei volatili; garante del ciclo vitale naturale e della fecondità.

Appare nuda o vestita con un abito o con gonna lunga o corta a balze, dal bustino stretto o aperto sul seno; con gioielli su collo e braccia; acconciata con trecce, a volte con cappello conico. Spesso alata; a volte armata con ascia bipenne o freccia, strumenti utilizzati per difendere il regno animale o vegetale e non per cacciare; (a volte ritta con uno scettro semplice o sormontato da colomba o uovo).

Rappresentata fra montagne o in un paesaggio rigoglioso vegetale (papaveri, gigli, palme, festoni fioriti, rami, spighe, querce o alberi tipici a seconda delle zone).

Spesso accanto a lei compaiono simboli di luna, sole, stelle, tripodi, raggi ed anche colonne o pietre erette o decorate con festoni vegetali, simboli stessi della Dea anche quando non viene rappresentata. In alcuni casi essa tiene fra le mani serpenti o essi si intrecciano al suo corpo; altre volte tiene per le zampe leoni, leonesse, cervi o uccelli. Siede su fiere, su cigni o oche, anche in volo.

Viene rappresentata circondata da animali quali: serpenti, tori, cervi, arieti, capre, caproni, cavalli, orse/i, api, colombe, cigni, oche, anatre, galli, fiere (leoni, leonesse, leoncini, leopardi, pantere), rapaci.

Dotata a volte di strumenti musicali: cetra, cimbali, flauti e corni usati sia per ammansire gli animali sia per celebrare le feste della fecondità o i rituali stagionali.

Spesso accompagnata da figure femminili sue sacerdotesse o Amazzoni, in seguito sostituite da cavalieri o da coppie umane.

Il suo compagno barbuto, giovane o anziano, è il suo paredro, figlio, amante, fratello, aiutante; egli super-visiona la vegetazione, è spesso in connessione con i cavalli; spesso simboleggiato da un cervo maschio, da un picchio, da un gallo.

 

La Dea dei Serpenti.

La Dea dei serpenti è una figura specifica connessa al potere del serpente, questo animale ha un particolare rapporto con la Dea Potnia e con i suoi poteri di gestione dell’energia creativa, sessuale e ctonia; è inoltre la custode del potere di guarigione dei veleni che combinati con le piante possono portare la morte o la vita.

Il serpente è connesso con il potere della trasformazione, con il movimento, con la rigenerazione dell’energia vitale e partecipa al potere della Dea di creazione della vita è simbolo di fecondazione, fertilità, crescita. Le parti del corpo della Dea dove spesso si inerpica il serpente sono quelli dove scorre potentemente anche l’energia del corpo umano: testa, collo, braccia, mani, ventre, schiena, gambe.

 

La Dea Colomba.

La colomba è il volatile che più spesso accompagna la Dea Potnia e le singole manifestazioni della grande divinità mediterranea, quali la Ishtar mesopotamica, la Dea Madre siro-fenicia, le Dee Madri cretesi e cipriote, l’Afrodite greca e numerose figure di sacerdotesse, come Semiramide ed altre.

Compare nuda, ma più spesso vestita con abito lungo o gonnellino a balze, con una colomba nella mano sinistra o nella destra o nelle due mani o vicino al seno o sulla testa; con colombe che si avvicinano a lei. Può avere nella mano uno scettro sormontato da colomba oppure essere rappresentata solamente da una colonna sormontata dal volatile. Altri animali presenti possono essere: serpenti, tori e cervi che rappresentano l’energia fecondante maschile.

Simboli a lei connessi sono: uova, melagrane, festoni di fiori e frutta.

La Dea è rappresentata stante o all’esterno o anche all’interno di piccoli edifici templari o edifici popolati da colombe; questi piccoli templi venivano dedicati ai culti della fertilità e più tardi alle unioni sessuali sacre; mentre le colombaie rupestri ai culti funerari dove la colomba assicurava la rigenerazione all’anima del morente che prendeva dimora in essa.

Le dee Ishtar, Astarte, Cibele sono le forme anatoliche e medio-orientali della stessa divinità originaria che si trova nel mediterraneo occidentale e che insieme ad Afrodite successivamente saranno connesse ai culti di fecondità come garanti del ciclo della rinascita e dell’amore e la colomba ne diverrà il simbolo primario.

 

Efesia, la Dea dai molti seni.

Efesia, Artemide Efesina, Diana di Efeso è presente nelle zone di Anatolia, Mesopotamia, Grecia, Italia in forma di statue di terracotta, marmo, pietra, bronzo; alcune di queste statue sono costruite in modo da far fluire liquidi dai seni.

Appare nuda o vestita di un particolare abito a guaina, lungo fino ai piedi, molto stretto che lascia scoperte solo le file di molteplici seni; indossa anche giubbetti aperti e gonne lunghe o corte, come nel caso della dea dei serpenti o la dea dei leoni e delle montagne.

A volte è alata e la sua posizione eretta, a braccia strette e mani volte verso l’esterno, sottolinea i seni e l’offerta del nutrimento. I suoi animali sono: colombe, api, tori, leoni, cervi, capri, uccelli, ma anche creature mitiche quali sfingi, grifi, sirene.

I suoi simboli: bastoni nodosi, scettri sormontati da uccelli, lance, bastoni, archi, ghirlande, palme, triangoli. Anch’essa viene più tardi associata con la luna e la stella Venere.

La statua mostrata nell’immagine costituisce una delle copie della statua di culto di Artemide venerata nel santuario di Efeso, a noi nota solo da riproduzioni ed in special modo dalle monete emesse dalla zecca della città, a partire dall’età ellenistica. La dea è rigidamente diritta, quasi da sembrare uno xoanon, e protende le braccia; sul capo reca un polos a forma di torre con porte ad arco, ai lati del quale emerge un disco, decorato con quattro protomi di leoni alati per parte; sul petto indossa un pettorale su cui sono, a bassorilievo, i segni zodiacali del Leone, del Cancro, dei Gemelli, della Bilancia e del Sagittario, ed una collana da cui scendono delle ghiande; il busto regge quattro file di mammelle, come simbolo di fecondità, o, secondo altri, gli scroti dei tori a lei ritualmente sacrificati; sulle gambe la veste aderente è ornata, nella parte anteriore, da protomi di leoni, tori e cavalli alati, in forte aggetto, all’interno di cinque riquadri sovrapposti, e, lungo i fianchi, da sirene alate, rosette, sfingi ed api, ripetute, queste ultime, anche sulla fascia più bassa della veste, laddove essa lascia spuntare la tunica sottostante che si apre a ventaglio sui piedi; le maniche, infine, sono ornate da tre leoni rampanti.

 

La Dea Lucifera.

È la Dea portatrice di luce all’interno del bosco che supervisiona la vita degli animali e la sicurezza del luogo sacro con la sua torcia; è portatrice del fuoco apotropaico e purificatore con il quale libera da ogni influsso negativo il bosco sacro e vigila sulla fecondità e salute del mondo animale e vegetale; fuoco che possiede anche proprietà fecondanti.

Nella forma più antica è rappresentata disarmata con in una mano la fiaccola e nell’altra il piatto rituale. Più tardi appaiono raffigurazioni con la falce lunare sul capo, connessa alle fasi lunari e agli effetti sui cicli naturali e femminili.

Viene rappresentata a piedi o a cavallo con abiti lunghi, ma velati che ne mostrano il corpo o con abiti corti, a volte alata; con torce lunghe o corte.

Accompagnata da cavalli, cervi, cani, serpenti, fiere, pantere alate, grifoni.

 

Le Dee italiche eredi della Grande Dea mediterranea:
Fortuna, Bona Dea, Mater Matuta, Feronia, Diana.

 

Fortuna.

È protettrice della fecondità umana e dei parti, colei che porta felicemente a termine la gravidanza, colei che è ricca, feconda, gravida, la datrice di doni, spesso rappresentata con la cornucopia ricolma di fiori e frutti. La Dea Madre che sostiene o stringe i seni o che regge al petto i figli; vergine nel significato di libera da vincoli che si accoppia liberamente scegliendo i suoi compagni (Fortuna, Acca Larentia e Flora furono anche note per aver scelto come amanti principi romani).

Nella zona di Lazio ed Etruria, abitata sin dai tempi antichi da popolazioni autoctone e dotate di caratteristiche comuni, troviamo immagini di Fortuna ritratta in figure scolpite o lignee che reggono un bambino/a o in forme animali, arboree o colonne poste all’interno di uno spazio sacro, detto saccellum, ricavato con foglie o legna, spesso all’interno di una radura sacra, luogo tipicamente italico.

 

Bona Dea.

Bona Dea è Signora delle erbe e degli animali e protettrice della salute delle madri e della prole.

La zona cultuale era tipicamente italica in quanto costruita con un piccolo muro di cinta che delimitava un boschetto, con al suo interno una fonte, un edicola per l’immagine della Dea e una capanna. Le caratteristiche principali del culto di Bona Dea sono: la presenza dei serpenti nel suo tempio; la presenza del paredro Faunus che spesso si può trasformare in serpente, sottolineando l’unione fra la divinità femminile e l’animale per eccellenza ctonio e fallico; l’uso del vino come bevanda rituale, caratteristica tipica dei popoli italici e laziali; la presenza nel luogo sacro di un herbarium, giardino delle erbe di guarigione, coltivato dalle sacerdotesse della Dea e da lei protetto.

 

Mater Matuta.

Mater Matuta accanto a Bona Dea è “la Madre Buona” la Madre Divina che vigila sulla vita delle donne, promuove la fecondità, guida i parti, veglia le creature, garantisce la vita degli animali, della vegetazione e della comunità agricola. Mater Matuta è “la Madre dell’Ora Mattutina”, la prima luce che le creature vedono uscendo dal grembo materno.

Il culto di questa Dea sbocciò contemporaneamente ed indipendentemente in Umbria, Etruria, Lazio e Campania, come conseguenza dell’unitarietà etnica e culturale delle popolazioni mediterranee della zona accanto anche ad altre divinità quali Diana, Feronia, Juno, Marica. Nei luoghi sacri sono state ritrovate offerte votive in terracotta rappresentanti frutta, fiori, animali e parti del corpo ad indicare le funzioni di protezione e guarigione della Mater Matuta.

Animali domestici o addomesticati appaiono maggiormente in questa fase ed indicano come le caratteristiche e le funzioni dell’originaria selvatica Dea mediterranea si vadano adattando alla realtà delle comunità agricole. Vediamo comparire cani, cavalli, buoi, ovini, galli, colombe, maiali, cinghiali, pesci. Troviamo tra le offerte anche pani e focacce.

Tra le parti del corpo votive in terracotta compaiono: seni, braccia, gambe, piedi, occhi, maschere, statuine di bambini e anche zampe di animali.

 

Feronia.

È la Signora delle Fiere, della vita animale selvatica, delle piante e delle erbe medicinali, conserva intatte tutte le caratteristiche dell’antica Potnia mediterranea. La radice fero indica anche “la gestante” ha dunque le consuete funzioni protettive del materno.

Feronia è una Virgo Sacra, una Dea Vergine non soggetta a vincoli matrimoniali, ma accompagnata dal suo paredro Picus, il sacro picchio, portatore del fuoco celeste connesso all’energia fecondante, ma anche conoscitore sapiente dei luoghi dove crescono alcune piante di guarigione; lo ritroveremo anche accanto alla Dea Diana.

 

Diana.

Come ultima ma più importante Dea italica la Marconi descrive Diana, molto diffusa e con caratteristiche specifiche, un culto articolato, dotata di assistenti cultuali come sacerdotesse, ninfe e paredri.

Il culto di Diana è essenzialmente silvestre; è definita Regina del Bosco Sacro, Diana Lucina – Dea del luogo chiaro nel bosco, la radura sacra dimora primordiale della divinità; Dea Lucifera della fiamma delle torce che illuminano nella notte il bosco sacro e le creature animali e vegetali che lei protegge; Dea del fuoco apotropaico e purificatore; Signora del Lago; Signora degli alberi sacri, delle pietre erette, delle colonne e dei recinti sacri; Dea delle selve, delle foreste, dei monti, dei laghi, dei fiumi, delle piante medicinali; in seguito viene associata, come Bona Dea, anche alla dea Dia, protettrice del grano, dei campi coltivati e degli animali d’allevamento.

Diana protettrice di fecondità, maternità e coppie, dei parti umani e animali e dei parti in acqua; le sue ninfe, come la Ninfa Egeria, e le sue sacerdotesse guidavano le donne nelle fasi del parto. Essa porta inoltre la guarigione tramite le erbe sacre.

Diana viene tardivamente associata con la dea Luna che però è una divinità a parte, come Artemide viene associata a Selene, ma sono entrambe originariamente divinità terrestri e non celesti.

Suoi animali sacri sono: il cervo, la cerva bianca, capre selvatiche, cavallo, cane, colomba, uccelli acquatici, picchio, cinghiali, maiali, pesci e fiere.

Piante sacre: peonia e artemisia (erbe di guarigione che favoriscono il parto), giglio, alloro, erbe medicinali, palma, quercia, melo, grappoli d’uva.

Simboli ad essa connessi: stele, pilastri, colonne, pali, alberi, fiaccole, festoni di fiori e frutta e nastri, rami, scettri fioriti, corna di vacca e di cervo.

I suoi paredri sono Virbio il “giovane uomo verde” (dalla radice uerbos derivano verga e verbena, il ramo e l’erba sacra) e Silvano “l’uomo silvestre”, adulto o anziano, entrambi custodi dei cavalli della Dea; appare anche Picus “l’uomo picchio”, conoscitore di erbe salutari e del luogo segreto delle peonie.

La Dea ha in mano la vita, la morte e la resurrezione del suo compagno, quand’egli muore lo resuscita con l’acqua di vita e le erbe salutari del suo giardino segreto (così come accade per tutte le altre grandi dee mediterranee, Isthar, Astarte, Kybele, Iside).

Diana veste con abito corto, gonnellino a balze ed è rappresentata mentre corre, cavalca, tira con l’arco, a volte nuda o velata con la torcia in mano, giovane, agile e potente fanciulla, quasi mai ingioiellata a volte coronata.

Appare armata di arco, frecce, faretra, lance, campanelli, così come la Potnia mediterranea, più per difendere le creature del bosco che per cacciarle.

 

Le Dee Maghe dalla classicità al medioevo:

da Circe a Morgana.

 

Circe.

La Marconi riconosce nella figura di Circe e in quella di Medea non solamente le più famose maghe dell’antichità bensì delle dee, focalizzando la propria attenzione non sulla loro possibile umanità, ma sui loro aspetti divini. Per lei esse sono:

“dee in quanto maghe e maghe in quanto dee, poiché la virtù magica è fondamento di tutti i poteri della grande divinità mediterranea”.

La figura di Circe fu portata in Italia da popoli di origine mediterranea come i Colchidi, emigrando con essi e trovando accoglienza in terre dove già fiorivano figure simili. Circe è presente sia in Oriente che in Occidente e ciò è testimoniato dal fatto che le Aiaie e i Circei sono riscontrati dalla Colchide all’Italia, in Mesopotamia e secondo la Marconi anche in India (Kerketai e Kolkhoi popoli indiani).

Il Kyrkaion polypharmakon è il monte Circeo italiano sul quale cresce il giardino delle erbe medicinali di Circe. Il Kirkaion pedion è invece il pianoro Circeo nella regione caucasica della Colchide dedicato ai morenti, dove la figura di Circe era quella di Signora della Morte accanto a Hecate.

Aia è un’antica città greca in Tessaglia irrigata dal fiume Axios che attraversa Grecia e Macedonia, la parola “aia” prese il significato di terra irrigata e fertile e nacque l’aggettivo “aiaia” epiteto di Circe: “la Dea e la Maga della Terra Fertile”; infine, Aiaia divenne un toponimo che indicava “l’Isola di Circe”, il luogo in cui ella dimorava nel suo giardino delle erbe di guarigione.

La Marconi associa Circe e Medea, per similitudine di caratteristiche e provenienza dall’antico substrato medi-terraneo, alle figure più propriamente italiche quali Feronia, Angizia, Bona Dea Diana, Marica ed anche ad Artemide.

Tutte queste figure condividevano: la signoria su terra, piante, animali; garantivano la guarigione al loro popolo attraverso l’uso delle erbe del loro giardino segreto all’interno del bosco; la signoria sui serpenti; l’essere dee, maghe, donne, sacerdotesse sapienti; la capacità di mutare la forma di sé stesse e degli uomini; il rapporto con paredri o eroi, l’eventuale rapporto con consanguinei; l’essere divinità eponime di terre e genti; l’essere Signore della vita e della morte.

 

Morgana.

Il limite dell’estensione territoriale a nord della figura della Dea mediterranea analizzato dalla Marconi sono le Isole Britanniche, il limite temporale è il Medioevo; nelle figure delle maghe e sacerdotesse, di Morgana e della Dama del Lago, essa ritrova la complessità di attributi e il potere autonomo e compiuto del matriarcato mediterraneo che nelle parole di Pestalozza ricordiamo essere: “più che di autorità, un matriarcato di intuizione, comprensione e prestigio molteplici”.

Nella dea Danu dei popoli celti, irlandesi, pitti e proto-britannici, presente con il nome di Ana, Anu, Anna in tutta l’Antica Europa e in medioriente, sia la Marconi che la Gimbutas riscontrano la Dea con le caratteristiche di Madre e Potnia; garante dei passaggi della sovranità e della gestione oculata della terra, anche attraverso i matrimoni sacri che si svolgevano tra le sue sacerdotesse e i nuovi “re per un anno”, evoluzione dell’”uomo verde”, antico compagno della Dea mediterranea.

Morgana è la Grande Regina e Maga, conoscitrice delle erbe di guarigione, sorella del re Artù, potente Signora che decide di politica, di vita e di morte, libera di scegliere i propri paredri fra i migliori cavalieri della Tavola Rotonda, anche fra consanguinei, Mutaforme, Signora dell’Isola di Avalon, isola magica della morte e della risurrezione, dove risiede nel suo giardino segreto.

Viviana è invece la Maestra di Conoscenza, insegnante-madre delle sacerdotesse dell’Isola di Avalon, suo compagno è il druido Merlino; è la Dama del Lago, conoscitrice delle erbe di guarigione che risiede accanto a un lago in una foresta dedicata alla dea Diana, o più correttamente Danu.

Personalmente ritengo che Circe, Medea, Morgana, Viviana e altre più o meno famose sacerdotesse e maghe dell’antichità non siano state dee come sostiene la Marconi (mentre lo erano la Potnia, Isthar, Hathor, Diana) ma donne che portavano su di sé i simboli e le pratiche dell’antica Dea Mediterranea; questa differenziazione è importante per far comprendere come le donne vivessero realmente in quei tempi ed avessero gli stessi poteri e responsabilità delle Dee che onoravano. Per questo nel mio testo: Simboli e riti delle donne celtiche, regine e dee al tempo di Artù, analizzo queste figure anche dal punto di vista storico oltre che simbolico e letterario.

 

Conclusioni: Ri-conoscere la Dea

per essere Donne nella costruzione del presente.

Ciò a cui M. Marconi e M. Gimbutas certamente guardavano dall’Europa in cui vivevano, distrutta dalle due guerre mondiali e dal sistema patriarcale, era a come ri-conoscere e ri-costruire quell’Area Mediterranea e quell’Antica Europa che avevano così coraggiosamente e acutamente Visto con il loro sguardo di Donne Sapienti.

Una sfida per il presente può essere quella di ampliare non solo la ricerca intellettuale, ma anche di proporre nuove strade percorribili per il sociale e per le pratiche del sacro.

Oggi noi giovani donne abbiamo il dovere di non interrompere il passaggio della fiaccola che dalle mani di Marija Gimbutas continua in quelle di Joan Marler, da quelle di Jane Harrison raggiunge quelle di Momolina Marconi che la offre a Luciana Percovich che la porge a tutte noi ricercatrici e donne qui presenti oggi e a alle madri, sorelle, figlie, donne del mondo che camminano sui sentieri della Dea.

In conclusione, ciò che dobbiamo domandarci durante la ricerca del nostro passato, è quali consapevolezze ci porta la scoperta che le nostre Antenate e i nostri Antenati vivevano in un mondo in cui la Dea e le donne, gli uomini, le creature animali e vegetali, la terra madre venivano onorate, rispettate, valorizzate e le risorse saggiamente gestite, e come oggi possiamo ancora portare il Sacro Femminile concretamente al centro delle nostre vite.

 

Bibliografia

  • Momolina Marconi, Riflessi Mediterranei della più antica religione laziale, testo disponibile on line su Filarete, sito internet dell’Università di Milano Facoltà di Lettere e Filosofia (http://www.studiumanistici.unimi.it/files/_ITA_/Filarete/005.pdf)
  • Momolina Marconi, a cura di Anna de Nardis, Da Circe a Morgana, scritti di Momolina Marconi, Edizioni Venexia.
  • Sarah Perini, Simboli e Riti delle Donne Celtiche. Regine e Dee al Tempo di Artù, Psiche2, riedito da Edizioni Ester.